Principi e valori
dell’auto/mutuo aiuto

Il gruppo di auto/mutuo aiuto

IL DODECALOGO : 12 suggerimenti per fare gruppo

Lo strumento peculiare della Lidap è il gruppo d’auto/mutuo aiuto (a.m.a.): un gruppo, cioè, tra persone che hanno in comune lo stesso problema e che, nel confronto tra pari con gli altri, sperimentano momenti di condivisione, di solidarietà e di crescita.

All’interno del gruppo, ogni persona, che inizialmente si percepisce spesso solo come bisognosa d’aiuto, può sperimentare d’essere persona in grado di dare aiuto; da soggetto passivo, quindi, diviene soggetto attivo, verso se stesso e verso gli altri.

La caratteristica fondamentale del gruppo a.m.a., come già sottolineato, è l’essere un contesto orizzontale, cioè tra pari: l’assenza della guida di un conduttore professionista, permette a ciascun membro di non poter delegare all’esperto la responsabilità della propria guarigione e, dunque, la responsabilità complessiva di sé.

È prevista tuttavia, una figura facilitante: il facilitatore o helper. Si tratta di un membro del gruppo, con un percorso di terapia significativo alle spalle, che ha seguito una specifica formazione, finalizzata a fornirgli gli strumenti di gestione della comunicazione, e che ha solo la funzione di facilitare la comunicazione stessa.

Con questo patrimonio conoscitivo ed esperienziale ed essendo, in più, portatore dello stesso problema degli altri, il facilitatore può permettersi di portare, all’interno del gruppo, il proprio vissuto emotivo e di utilizzare l’esperienza gruppale per la sua personale crescita.

Nel nostro percorso associativo, la funzione del facilitatore ha subito un’evoluzione; si è passati dalla tendenza iniziale, spontanea e rischiosa, ad essere conduttore di gruppo, seppur non professionista, a quella di mantenere semplicemente il compito di facilitare la comunicazione del gruppo, spostando così il carico di responsabilità e di lavoro sul gruppo stesso, anziché sul conduttore.

Si è abbracciata cioè l’idea di formare una figura sempre più distante dal modello responsabilizzato dalle risposte da dare, e sempre più lontano da un possibile e temibile “scimmiottamento” del terapeuta.

L’idea è quella di andare, in futuro, verso una conduzione circolare ripartita tra tutti i membri.

Ogni gruppo Lidap parte quindi dalla condivisione di un problema comune: il disturbo da attacchi di panico, d’ansia, d’agorafobia.

La guarigione, intesa dai più, nel momento dell’ingresso al gruppo, come il superamento del sintomo, acquisisce nel tempo, proprio grazie al gruppo, nuovi significati; infatti l’accento si pone, durante il percorso collettivo, sul riconoscimento e sull’espressione delle emozioni, sul sentire, sull’accrescere la capacità e la possibilità di gestione della relazione con l’altro.

Riteniamo un buon risultato dell’auto/mutuo aiuto, il riuscire a operare un cambiamento nel modo di percepirci e di percepire l’altro, il conquistare una maggior fluidità nella relazione, l’acquisire minor rigidità, al fine di accettare errori e limiti, propri e dell’altro.

Riteniamo un buon risultato il poter esplorare e riconoscere le emozioni, il poter dare un nome alla sofferenza che, fino all’ingresso nel gruppo, era individuata solo come sintomo: panico o agorafobia.

Andando per sintesi, dalla nostra esperienza, possiamo affermare che i bisogni di chi, con l’attacco di panico, si avvicina alla nostra associazione sono:

  • essere visti
  • essere riconosciuti
  • essere rassicurati
  • essere informati
  • essere contenuti

Sempre andando per sintesi il gruppo a.m.a. offre nelle sue varie fasi:

  • accoglienza, solidarietà, incoraggiamento, sostegno

In una prima fase, l’essere ascoltati (ascolto ricevuto) è la risposta, l’unica risposta che si cerca; ed è ciò su cui si fonda la base sicura, che consente di passare a una dimensione comprensiva anche dell’ascolto attivo.

  • empatia, affettività, confronto

Nella seconda fase, l’ascolto è divenuto attivo: l’altro è specchio di sé e in esso si ritrovano parti significative del proprio essere, della propria modalità di essere. All’altro si concede l’ascolto, nella misura in cui lo si richiede per sé: orizzontale, reciproco, non giudicante, privo di pregiudizi. E sano.

A differenza di un setting di terapia individuale o di terapia di gruppo, la democraticità del contesto a.m.a. unito al mettersi in gioco apertamente da parte di tutti i membri, consente a ciascuno di ascoltare in modo attivo e di poter rispondere, secondo modalità che via via si diversificano da quelle tipiche della propria vita fuori dal gruppo.

  • avanzamento nella consapevolezza, cambiamento

ll passaggio alla seconda fase accompagna, di conseguenza, la terza fase: quella dell’acquisizione di una consapevolezza maggiore e meno rigida di sé e dell’altro, e di conseguenza segna un cambiamento, che poi coincide con il maggior senso d’autoefficacia, benessere, capacità di trovare soluzioni ai propri problemi.

Come avviene ciò?

Come si è visto, fondamentalmente attraverso la relazione d’ascolto e risposta, o meglio l’evoluzione in tre tappe, della relazione di ascolto e risposta.

Una delle regole principali che il gruppo a.m.a. si dà, dunque, è quella della sospensione del giudizio, del pregiudizio e dell’unico modello mentale, a favore della molteplicità dei punti di vista possibili.

Tale sospensione, oltre ad incoraggiare la libertà d’espressione e a facilitare il superamento della vergogna, (quasi sempre presente nel vissuto del Disturbo d’Attacco di Panico), crea le condizioni per l’accettazione dell’altro e, di riflesso, per l’accettazione di se stessi.

L’auto/mutuo aiuto coincide dunque con la possibilità reciproca di scoprirsi e con la possibilità reciproca di accettarsi.

Questo è un punto di fondamentale importanza nel susseguirsi delle tappe, che creano i cambiamenti auspicati da qualunque percorso d’auto aiuto. A maggior ragione nel caso del Dap, visto che lo scollamento tra l’immagine di se stessi reale o realistica (quella che si presume possa apparire agli occhi degli altri), e quella ideale a cui si vorrebbe aderire, è un punto fermo dell’eziologia di questa sindrome.

Non riteniamo che possa spettare a noi (anche se ovviamente non possiamo trascurare l’approccio scientifico al problema) definire quelle caratteristiche costanti, identificate in più di trent’anni di vita associativa e d’auto/mutuo aiuto, e presenti in chi è o è stato colpito dal disturbo (vissuto abbandonico, disturbo dell’affettività e dell’attaccamento ecc.), perché ciò che invece è altamente significativo, è che ognuno, senza dover aderire a delle verità presistemiche, può scoprire e vivere la propria verità; partiamo, cioè, dal presupposto che ognuno ha una sua risposta dentro, che non è applicabile a tutti gli altri.

L’impostazione di massimo ascolto, agli altri e a se stessi, permette proprio questo: l’individuazione, il riconoscimento, l’accettazione della propria identità. E non è poca cosa.

Gli obiettivi e i risultati sono spesso gli stessi ottenuti da una terapia individuale riuscita; ed è, tra l’altro, auspicabile l’integrazione tra questi due percorsi (naturalmente solo quando lo psicoterapeuta non lo viva come incompatibile) a cui si aggiunge, quando necessario, il percorso farmacologico.

In più, i gruppi a.m.a. sono fruibili e accessibili, sia per i costi, che per l’abbattimento di parecchi limiti culturali, a molte più persone, pur sapendo non essere adeguati per la totalità.


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