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Dipendenze digitali nell’epoca dell’iperconnessione

Dr. Roberto Pozzetti, psicologo e psicoterapeuta

Laureato in psicologia all’Università di Padova; specializzato in psicoterapia psicoanalitica all’istituto Freudiano di Roma; membro della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi e dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi, già referente provinciale dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia.
È autore di quattro libri personali fra i quali “Senza confini. Considerazioni psicoanalitiche sulle crisi di panico” (Franco Angeli, Milano, 2007); “Bucare lo schermo. Psicoanalisi e oggetti digitali” (Alpes, Roma, 2021).


Che cos’è l’iperconnessione

Che cosa intendiamo per iperconnessione? E chi sono i ragazzi o le ragazze iperconnessi alla rete e al web?

Per iperconnessione intendiamo innanzitutto un tempo spropositato, esagerato, dedicato agli schermi online, quelli della contemporaneità (al web al quale ci si collega con il computer o con le opzioni dello smartphone). I ragazzi e le ragazze iperconnessi stanno tante, troppe ore della loro giornata collegati a Internet con il proprio smartphone.

Le categorie di iperconnessi

Ma chi sono questi ragazzi? Possiamo trovare delle categorie di ragazzi e ragazze perennemente online? Sicuramente sì.

L’esempio più eclatante e più estremo è sicuramente quello dei cosiddetti “hikikomori”.

Questo è un termine giapponese che si riferisce a quei ragazzi che stanno tutta la giornata sempre in casa, chiusi nella loro camera, con pochissime legami sociali offline, che stanno sempre davanti allo schermo del computer o dello smartphone e, magari in quell’ambito, intrattengono delle relazioni. Questa è la forma più estrema, diffusa soprattutto in Giappone.

Nella nostra realtà, è più frequente trovare altre forme di iperconnesione, come per esempio i cosiddetti ragazzi nerd, che stanno molto online e che sono un po’ timidi, imbarazzati, a disagio nelle relazioni offline, oppure i cosiddetti “gamers”, ragazzi che hanno una forte propensione nei confronti dei videogiochi e che dedicano molto tempo a partecipare videogiochi online. Il gioco dei gamers è fondamentalmente un gioco online. Evidentemente, per giocare e per aumentare i propri “skills”, le proprie competenze, devono stare molte ore a giocare per avanzare di livello, e questo li porta a distoglierli in gran parte dalle relazioni con la famiglia. Ovviamente tutto ciò distoglie i ragazzi anche dall’impegno scolastico e li porta ad avere un peggioramento del rendimento scolastico.

I social

Un’ampia categoria di ragazzi, e ancora più di ragazze, sono sempre collegati a Internet tramite i social network, perciò stanno tutto il tempo con lo smartphone in mano per chattare o navigare su Internet, nei social, come TikTok nei preadolescenti o Instagram per persone più grandi.

TikTok si basa tanto su balletti, video brevi di pochi secondi, che vengono proposti incessantemente, mentre Instagram si fonda sulle foto e sui cosiddetti “reel”, brevi video di pochi secondi in cui viene messa in gioco anche l’immagine del corpo. C’è sicuramente una dimensione corporea molto giocata nel mondo online, non è invece altrettanto messa in gioco nell’incontro dei corpi nella vita quotidiana.

La rete: dipendenza e risorsa

Qual è il rischio dell’iperconnessione? Il rischio principale è che diventi una sorta di dipendenza.

Quando parliamo di dipendenze, si tende a pensare alla tossicodipendenza, all’alcol-dipendenza, cioè alla dipendenza da sostanze inebrianti o stupefacenti. Ma vi sono anche dipendenze senza sostanza. Si pensi ad esempio alla dipendenza dal gioco d’azzardo (più diffusa negli uomini) oppure alla dipendenza dallo shopping compulsivo (più diffusa nelle donne), oppure alla dipendenza dal cibo (obesità, anoressia, bulimia, disturbi alimentari).

Vi è anche la dipendenza da altri oggetti, gli oggetti digitali. A questo argomento ho dedicato anche il mio ultimo libro. “Bucare lo schermo. Psicanalisi e oggetti digitali”.

Nel caso della dipendenza da Internet, abbiamo in primo piano più la dipendenza dall’oggetto, che dalla risorsa che quest’oggetto potrebbe implicare. Perché è evidente che per tutti noi, Internet è una grande risorsa.

L’innovazione del World Wide Web e poi dei social network, le varie evoluzioni del mondo digitale, costituiscono per noi una grande opportunità. Ce ne siamo accorti tutti in occasione del lockdown, senza il digitale ci saremmo trovati in grande difficoltà. Grazie a Internet abbiamo potuto lavorare da casa, svolgere sedute online.

Tutti noi ci serviamo di Internet anche per studiare, per incrementare il nostro sapere e le nostre conoscenze. È una grande risorsa, è un’enorme risorsa a disposizione di tutti, ma a volte può diventare una dipendenza, e lo diventa soprattutto per i ragazzi e ragazzi sempre connessi (hikikomori, nerd, gamers).

Quando possiamo dire che si tratta effettivamente di una dipendenza? Quando anziché utilizzare l’oggetto digitale come una risorsa, il ragazzo o ragazza non ne possono più fare a meno e devono averlo con loro 24h su 24, perché altrimenti vanno in ansia, in difficoltà.

Internet diventa un oggetto indispensabile, il ragazzo crede di esserne padrone e di governare così il mondo, utilizzerà l’oggetto per relazionarsi, per fare video, per informarsi, ma poi si accorgerà che l’oggetto è il padrone e lui diventa lo schiavo.

Questo è qualcosa che aveva già colto Sigmund Freud a proposito delle forme gravi di depressione, la melanconia, in cui dice che l’ombra dell’oggetto cade sull’Io. È l’oggetto schiaccia l’Io e in questo caso la soggettività di un adolescente è schiacciata dalla connessione a internet.

Il consiglio degli esperti

I genitori, giustamente, sono molto preoccupati per questa situazione e chiedono a noi clinici dei consigli.

È chiaro che non si può dare una risposta assoluta o generale, poiché ogni caso è diverso dagli altri, ogni ragazzo è diverso dagli altri.

Però in generale un consiglio che viene dato da molti è relativo al tempo, ovvero mettere un limite, che è un’ottima cosa, a livello dei tempi, trascorsi davanti agli schermi. Ad esempio, la Società Italiana di Pediatria consigliava per i primi 3 anni di vita di non mettere quasi mai un bimbo davanti allo schermo; dai 3 ai 6 anni si consigliava il limite di un’ora al giorno; nella fascia d’età della scuola primaria un paio di ore al giorno per poi aumentarle progressivamente nella preadolescenza e nell’adolescenza.

Infatti, anche quando si è svolta la DAD (Didattica a Distanza), i bambini della scuola primaria avevano il limite di un paio di ore al giorno di lezioni, mentre i ragazzi più grandi facevano tutta la giornata in DAD. Quindi il consiglio è quello di mettere dei limiti di tempo.

La dimensione qualitativa

Se in evidenza c’è soprattutto la dimensione quantitativa del fenomeno, cioè la quantità di ore trascorse dinanzi gli schermi, non dobbiamo trascurare anche la dimensione qualitativa. Non è importante soltanto quante ore un adolescente sta davanti allo schermo o ha in mano uno smartphone, ma che cosa fa con lo smartphone, come utilizza questo strumento. Diventa una risorsa o una dipendenza?

È interessante accorgersi di come viene utilizzato questo dispositivo.

Può essere un’occasione per intrattenere delle relazioni, un modo per incrementare le conoscenze, per fare ricerche per i propri studi. Ma può anche essere qualcosa di pericoloso e rischioso, pensiamo, ad esempio, al fenomeno del sexting (inviare immagini hard) o del cyberbullismo. Dipende da come viene gestito.

Per cui io non darei solo un limite di tipo quantitativo, cioè quante ore stare davanti agli schermi, ma andrei un po’ di più a preoccuparmi di come viene utilizzato questo strumento.

L’oggetto digitale non è qualcosa di buono o di cattivo, ma è un oggetto come altri e dipende dall’uso che ne facciamo. Si tratta di fare un uso consapevole dell’oggetto, con limiti di tempo, ma soprattutto con una buona qualità.

L’area intermedia di Internet

E’ un mondo quello dell’adolescenza in cui si riscoprono i sogni. Sono i nuovi sogni degli adolescenti che rilanciano il desiderio.

Se i legami affettivi nell’infanzia sono principalmente circoscritti al contesto famigliare, con la crescita e il passare degli anni, i ragazzi e le ragazze cominciano a spostare l’investimento affettivo più verso i coetanei.

Il mondo di internet permette un’area intermedia, una sorta di trampolino di lancio, tra la realtà dell’infanzia e il mondo adulto, un’area di fantasia in cui cominciare a sperimentarsi.

Va anche detto che, come sostiene Luciano Floridi, un filosofo italiano che insegna in Inghilterra, si può parlare oggi, anche di un mondo “onlife”, ovvero un certo superamento della distinzione netta tra “online” e “offline”, tra reale e virtuale.

E’ molto importante questa funzione degli oggetti digitali. Permettono molte volte, di iniziare a incontrarsi dietro lo schermo, in un modo più rassicurante, in particolar modo per quegli adolescenti che non se la sentono ancora di avere un incontro in carne ed ossa, un incontro con dei corpi.

Per cui, la gradualità, può essere un ottima cosa permessa da internet.

Non possiamo dire che l’iperconnessione è un bene o un male, andiamo oltre, andiamo al di là del bene o del male, sospendiamo ogni giudizio moralistico e consideriamo che può essere una risorsa come può essere un pericolo, un’opportunità come un limite. Bisogna mettere dei paletti, ma non soltanto a livello quantitativo, ma anche e soprattutto a livello qualitativo.

I limiti

Abbiamo parlato di porre dei limiti, ma capita che, in alcune situazioni famigliari, mettere dei limiti non sia così facile.

È più facile con i preadolescenti, ma è meno facile con gli adolescenti: a un preadolescente si può dire “ti tolgo il cellulare e non lo vedi più”, ma con adolescenti che hanno il proprio smartphone e che lo utilizzano per tante cose, diventa praticamente impossibile intervenire in maniera brusca.

Allora come mettere dei limiti in questo caso? Senza arrivare a un’estrema conflittualità?

Per prima cosa sta anche ai genitori dare un buon esempio, perché se i genitori sono a loro volta sempre connessi o sempre davanti alla televisione, non possono imporre loro qualcosa che non rispettano. Un esempio tipico è quello dell’adolescente che sta davanti allo schermo del proprio smartphone, mentre i genitori, che stanno guardando la televisione gli dicono di mettere via il cellulare: la risposta potrebbe essere che anche loro sono davanti a uno schermo!

Quindi la prima cosa è fare attività insieme, provando a coinvolgere i ragazzi, inventando qualcosa per distoglierli dallo schermo, senza entrare in una dimensione conflittuale, perché il conflitto non risolve niente. Nel conflitto le parti si irrigidiscono, bisogna invece trovare una mediazione.

Il nuovo modo di comunicare

Una differenza importante che cogliamo tra lo schermo televisivo e lo schermo di Internet, è che la fruizione della televisione ha una caratteristica passiva, ovvero si sta a guardare passivamente un film, documentario, tg. Invece su Internet c’è un’interattività, perché si può chattare, interagire.

La televisione invece tende a passivizzare, ed era anche tipico di un modo di comunicazione precedente, in cui una persona comunicava con molti.

L’esempio più eclatante è lo speaker del telegiornale che comunicava con milioni di persone che lo ascoltavano.

Oggi invece siamo in un mondo in cui la comunicazione è più alla pari, nei gruppi su Whatsapp, su Facebook, su Linkedin, ognuno può avviare una conversazione e molti possono intervenire.

Per cui se prima la comunicazione era da uno a molti, oggi è tra molti e molti. Molte persone possono comunicare con molte persone.

Relazioni digitali

Un problema che a volte si incontra con gli adolescenti, che sono detti “nativi digitali” (nati con lo smartphone in mano), è quello di una certa volubilità delle relazioni, cioè la tendenza a cambiare sempre oggetto, a trovarne sempre uno nuovo. Questa tendenza si ritrova a volte nella difficoltà di stabilire delle relazioni stabili, se non tramite appunto l’oggetto digitale.

Per cui, questa tendenza a uno spostamento continuo delle attività, in un mondo in cui i bambini crescono con una moltitudine di oggetti a disposizione, si ritrova poi nella facilità di instaurare relazioni attraverso Instagram, TikTok e altri social network, e anche nella rapidità di interromperle.

Ad esempio su Facebook si può rimuovere qualcuno dagli amici, ma rimuovere un legame affettivo non è così semplice, si fa il cosiddetto “no contact” e si instaurano nuove relazioni, ma così c’è una rapidità tale da non permettere il tempo di una giusta elaborazione della conclusione di un rapporto, non permettere di elaborare il lutto per la fine di un rapporto di amicizia o di amore.

È un bene o un male?

Allora ci si può chiedere “Ma l’iperconnessione è bene o è male?”.

Sarebbe un po’ troppo riduttivo dire se è bene o male, andiamo al di là del bene o del male. Dipende molto dalla funzione che ha, cioè connettere con gli altri un adolescente può avere una funzione anche positiva, può aiutare a vivere, può essere una tappa intermedia rispetto a certi momenti evolutivi, a certe esperienze della vita.

Si ritorna sulla questione del rapporto tra il soggetto e l’oggetto. Il soggetto si serve in qualche modo dell’oggetto per vivere bene, oppure vive male perché è diventato schiavo dell’oggetto.

Lì abbiamo una differenza fondamentale, anche rispetto alle preoccupazioni dei genitori. C’è da preoccuparsi quando l’adolescente non utilizza più l’oggetto digitale come uno strumento prezioso per la sua vita, ma quando ne diventa succube e non può fare a meno dell’oggetto digitale.

 

Bibliografia

Baudrillard J. (2010), La società dei consumi, Il Mulino, Bologna
Byung-Chul H. (2014), La società della trasparenza, nottetempo, Milano
Craparo G. (2020), Psicoanalisi online, Carocci, Roma
Balbi G. and Magaudda P. (2014), Storia dei media digitali. Rivoluzione e continuità, Laterza, Bari