Quello che si impara facendo lo psicoterapeuta

di Giuseppe Ciardiello

Una cosa che il mestiere dello psicoterapeuta insegna è che tutti gli uomini e donne sono uguali nella loro diversità; vuol dire che sono strutturalmente uguali ma funzionalmente diversi e che, pur somigliandosi, funzionano in modo diverso.

Sembra facile entrare in questo paradosso eppure, almeno per le derive sociali cui si assiste, per la maggior parte delle persone deve rimanere alquanto strano concepire una diversità nell’uguaglianza. Eppure tutti noi sappiamo che pur essendo composti degli stessi organi, ognuno di noi funziona in modo diverso.

Ogni organismo umano si compone di impianti epidermici, ossei, muscolari, e di organi interni che comunicano tra di loro per mezzo del sistema nervoso centrale.

Il SNC, formato dal cervello e dai nervi, che sono la sua promanazione organismica, raggiunge praticamente tutti gli organi del corpo compresa la pelle che è l’organo più periferico. Così gli stimoli che vengono dalla realtà nella quale ci troviamo, registrati dalla periferia del corpo, dalla pelle e dagli organi ricettivi periferici, sono trasportati al cervello perché li traduca. Lo fa trasformandoli da messaggi elettrochimici in immagini, pensieri, concetti e forme che abbiano senso per l’organismo così da comprenderli.

In pratica sarebbe come dire che il SNC usa i messaggi per costruire una mappa del mondo che circonda l’organismo; una mappa che non potrà mai essere una riproduzione in scala 100 %.

Questo vuole anche dire che ognuno di noi si muove in un mondo costantemente ‘mappato‘ e costruito facendo uso di intenzioni, improvvisazioni, ipotesi, impressioni, opinioni ecc.

A questa traduzione partecipano anche tutte le esperienze passate che sono come un piano di riferimento esperienziale alla capacità di costruire un’architettura coerente di queste mappe. 

Allora dare un senso agli stimoli che colpiscono il nostro corpo e che raggiungono il nostro cervello, per il nostro SNC è come dare alla mappa un senso logico, lineare, coerente e personale.

Così ogni mappa è soggettiva e ogni realtà riprodotta è diversa da quella prodotta da chiunque altro.

E’ da aggiungere che la traduzione effettuata dal SNC non tiene conto della possibile diversità dello stimolo che la sostiene né delle possibili diverse conformazioni dell’organo che questo stimolo riceve e trasporta. Inoltre non tiene neanche conto del fatto che la sua conformazione dipende anche dalle esperienze vissute.

Cioè il cervello, che è un organo che traduce gli stimoli, non registra le differenze che lo costituiscono e lo rendono soggettivo per le forme assunte in relazione alle singole esperienze. Ciò perché non esiste una forma ideale organismica. Per lui tutto è perfettamente funzionante indipendentemente dal modo in cui gli organi funzionano. L’importante è che trasmettano l’informazione.

Così possiamo concluderne che nella vita comune, pur assistendo ad un unico spettacolo musicale, non si è consapevoli del fatto che, per esempio l’udito di ognuno degli spettatori, è qualitativamente diverso dall’uno all’altro e che quindi ognuno costruisce una mappa soggettiva. 

Nelle forme umane tutta la fisiologia è differenziata ed assume forme identitarie diverse. Anzi è questa diversità che normalmente definiamo ‘identità’. Si realizza per questa differenziazione quell’unicità che ognuno di noi mette in campo nell’interpretare, per esempio, un’opera d’arte.

Per il diverso peso del corpo sulla poltrona sono diversi i punti di vista rispetto al contesto dello spettacolo. I diversi SNC ricevono dal corpo, e quindi dagli occhi, orecchie, nasi, pelli ecc., messaggi diversificati per soggetto della stessa realtà. Informazioni diversificate poi tradotti e interpretati da cervelli diversi per esperienza.

Con tutta questa diversità non può che esserci un esito diverse per ogni interpretazione della realtà, anche quando questa è comune a tante persone. Così l’applauso dedicato ad una stessa esecuzione musicale o ad un’opera teatrale, in realtà è rivolto ad una propria traduzione dell’opera, alla mappa che si è costruita e alle proprie proiezioni impressioni sensoriali.

Del resto probabilmente l’arte è proprio questo: quell’attività, tipicamente umana che, pur nella diversità dei corpi, coglie il senso di infinitezza che li accomuna. Quel senso che li rende uguali!

Il paradosso dell’umanità consiste proprio nel fatto che la differenza tra persone sta nella loro uguaglianza.

Nelle persone sono uguali i modi in cui realizzano costruzioni simili della realtà che li comprende. Quindi si è contemporaneamente uguali e diversi nell’interpretare la realtà così che lo si è, uguali e diversi, in tutte le altre istanze umane che non possono che essere improntate alla diversità e all’uguaglianze organismiche.

Allora, e veniamo alla conclusione di questo apparente panegirico, se un cieco non può costruire nel suo immaginario una realtà composta dagli stessi colori di un vedente, sarà mai possibile che un organismo composto di genitali maschili possa costruire, nel proprio immaginario, la stessa identica realtà di un organismo che possiede genitali femminili?

E pur essendo vero che tutti gli uomini sono uguali a tutte le donne di questo mondo, è anche sacrosantamente vero che la loro differenza non consiste solo nei genitali.

In un post di qualche giorno fa ho postato su Facebook una provocazione sul tema dell’aborto sul cui tema suggerivo fossero solo le donne ad esprimersi.

Con queste righe vorrei eliminare la vena provocatoria e, volendo entrare nello specifico, vorrei rivolgermi a tutti gli amici e nemici, uomini e maschi, di un certo credo, ceto, età, estrazione e appartenenza e fede politica e ideologica, e chiedergli: ma secondo voi, onestamente, è mai possibile per noi, di genere maschile, sostituirci agli esseri di genere femminili nelle decisioni che riguardano la maternità? Ma per come siamo conformati e costituiti, noi uomini potremmo mai cogliere e rappresentarci la sensazione fisica della fecondazione, per amore o per violenza subita, le leggeri intemperanze chimiche che seguono i movimenti dell’ovulo nello spostarsi e radicarsi nell’utero. Potremmo mai immaginare le mappe delle flebili sensazioni dello sviluppo dell’embrione e quelle che vengono dopo, quando si trasforma in feto e poi spinge per nascere? E potremmo mai rappresentarci quelle sensazioni che derivano dalla ricerca sempre maggiore dello spazio che il nuovo organismo comincia a reclamare nella ricerca del proprio posto nel mondo?

Ecco! E’ con questi messaggi fisici, chimici, esperienziali che una donna fa i conti quando deve decidere se portare avanti o no la propria gravidanza. Messaggi che io uomo fatico ad immaginare e che, a volte invidiandola, mi rappresento sempre come un dono quell’onere di decidere se consentire o no, alla vita che alberga nel suo grembo, di continuare ad ‘essere’.

Per queste condizioni solo l’arroganza, la presunzione, la prepotenza e la violenza possono permettere a degli stessi esseri umani maschi di intromettersi in una decisione strettamente femminile.

Fonte: dal blog “Psicoterapia del CorpoMente

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